I tatuaggi sacri e profani della Santa Casa di Loreto
I tatuaggi sacri e profani della Santa Casa di Loreto: I Frati Marcatori.
Nella storia del cristianesimo il tatuaggio ha avuto un ruolo importante grazie anche ai coraggiosi e determinati frati marcatori.
Siamo soliti pensare che tale prassi fosse un’esclusiva delle popolazioni primitive, o semi-primitive, del centro-sud America, dell’Africa o dell’Oceania, in realtà già dalla preistoria, nella nostra penisola, come la mummia di Oetzi testimonia, era una pratica molto diffusa. Scorrendo nei secoli ritroviamo tale usanza anche fra i soldati romani che vennero a contatto coi Britanni e coi Traci. La cosa prese piede a tal punto che l’Imperatore Costantino, nel 325 D.C. , fu costretto a proibire il tatuaggio sul volto perché modificava le fattezze dell’uomo creato ad immagine e somiglianza di Dio. A tal proposito, infatti, Dio (Levitico 19,28) proibisce di farsi incisioni per commemorare i morti e di “stamparsi” segni addosso.
Il tatuaggio, per i cristiani, venne proibito definitivamente nel 787 D.C da Papa Adriano I durante il secondo Concilio di Nicea e, successivamente, ribadito in altre bolle papali.
Nonostante questo divieto i cristiani continuarono a farlo, in clandestinità. Presso il Santuario di Loreto, si distinsero per bravura e perseveranza dei frati chiamati “Frati Marcatori” che esercitavano l’arte del tatuaggio.
Le loro raffigurazioni erano in un primo momento semplici simboli cristiani e le zone destinate al tatuaggio erano mani e polsi. In seguito i frati marcatori si “evolsero” e passarono da semplici simboli a veri disegni, molti dei quali raffiguravano la Madonna di Loreto.La consuetudine di marcare la propria pelle sopravvisse in clandestinità, soprattutto fra i soldati, nel popolo e in alcuni luoghi di culto come la Santa Casa di Loreto e il Sepolcro di Gerusalemme. In quest’ultimo l’atto di tatuarsi aveva due motivazioni principali: testimoniare di aver compiuto realmente il pellegrinaggio, e, soprattutto per i crociati, venir riconosciuti come cristiani in modo tale da aver degna sepoltura in terra consacrata.
Oltre questi simboli, si avvicinarono negli anni disegni e tatuaggi di tipo profano, portati dalla vicinanza al mare e la folta presenza di marinai provenienti da ogni luogo, per i quali la tradizione del tatuaggio era ben consolidata. I marinai stessi si tatuavano un ancora o una margherita. Quest’ultimo simbolo era una richiesta di ritorno alla terra ferma, poiché in mare non esistono fiori: un po’ portare un pezzo di terra con loro nelle intemperie marine, un po’ un sogno di tornare sani e salvi alla loro casa. Le giovani spose si tatuavano un piccolo uccello sul polso o sulla spalla destra, le vedove invece un teschio e una doppia m (memento mori). Il giuramento amoroso invece era rappresentato con due cuori colpiti da due frecce e uniti da una catena, se l’amore era con un marinaio la donna si tatuava oltre ai due cuori anche una stella sopra di essi. Come espone la maestra parmigiana Pigorini Beri nel suo scritto “I tatuaggi sacri e profani della Santa Casa di Loreto” (testo pubblicato nel 1899 come appendice al libro “Costumi e superstizioni dell’Appennino marchigiano”) i tatuaggi venivano realizzati in maggior numero per la festa della Natività (settembre) e le popolazioni in cui l’usanza di tatuarsi era più sentita erano quelle del Piceno, dell’Umbria e dell’Abruzzo. L’incisione veniva effettuata con una penna con tre punte d’acciaio, bucherellando i contorni della figura che si voleva realizzare. Una volta marcata la carne la ferita veniva coperta con dell’apposito inchiostro color turchino.
Della fine di questa non-convenzionale usanza poco si sa e sorprende come un atto di così vasta portata “rivoluzionaria”, per l’epoca ovviamente, sia passato per decenni inosservato e poco studiato, tanto più se consideriamo che a rompere i tabù sociali e morali erano proprio i contadini e le donne, due categorie che, fino alla metà del secolo scorso, erano tra le meno alfabetizzate. Tale usanza persistette fino alla metà degli anni Cinquanta del Novecento per poi cadere in disuso.

